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Gas medicali
Tratto da “I Quaderni dell'Aria Compressa” - giugno 2015

Quale aria per l’Ospedale

 

Benigno Melzi d’Eril


Aria respirabile e aria strumenti: questi i due utilizzi principali dell’aria compressa nel settore medicale ospedaliero. “Ma l'aria compressa - precisa Andrea Trezzi, Product Marketing Manager di Atlas Copco - viene utilizzata anche per ottenere ossigeno e azoto ad uso ospedaliero, attraverso l'impiego di setacci molecolari che provocano la separazione nell'aria compressa: questo nella produzione ‘on site’. Diversamente, l'ossigeno e l'azoto possono giungere all'ospedale dall'esterno attraverso autocisterne in pressione che vanno a riempire i serbatoi criogenici fissi. Ossigeno medicinale e azoto medicinale, opportunamente miscelati, formano l’aria medicinale 'sintetica’. L'autoproduzione di tali gas consente l'autonomia da fonti esterne, autonomia tecnica, di trasporto, oltre a costi minori proporzionali al consumo”.

Quali requisiti
Quali i requisiti per l’aria medicale?
“La norma armonizzata UNI EN ISO 7396-1, nella sezione 5, definisce i requisiti dell'aria per uso medicale, richiamando i limiti della Farmacopea. Per l'aria chirurgica, invece, la norma tecnica prevede il monitoraggio delle concentrazioni d’olio e del punto di rugiada in pressione”.

E a livello europeo?
“Il settore è regolato dalla Medical Devices Directory 93/42/EEC, poi applicata tramite la norma tecnica UNI EN ISO 7396 suddivisa in due parti: la prima riguarda gli impianti di distribuzione dei gas medicali compressi e vuoto, la seconda gli impianti d’evacuazione gas anestetico. La norma definisce i requisiti degli impianti (ad esempio, numero di fonti, schemi di flusso), oltre a indicare un modello di gestione degli impianti stessi.
Per l'aria medicinale, sempre a titolo d’esempio, in ogni plesso devono essere presenti almeno tre fonti indipendenti, in grado, ciascuna, di erogare il 100% della quantità di aria prevista dal progetto. Per fonte si intende una realtà costituita da compressore, pacco bombole, serbatoio criogenico o qualunque altra tecnologia in grado di produrre aria compressa. Ogni impianto può essere costituito da un mix di tali soluzioni. In genere, esistono due fonti con il compressore e una con serbatoi caricati con ‘aria sintetica’. La norma specifica anche le soglie di allarme per le pressioni di lavoro. Tipicamente, la distribuzione dell'aria viene effettuata a 8 bar e successivamente ridotta in funzione dell'impiego: quella respirabile a 1 bar, quella chirurgica attorno agli 8 bar”.

Nel caso di autoproduzione?
“Nel caso di autoproduzione, oltre ad avere più compressori, occorre avere anche i serbatoi di accumulo dell'aria compressa, da installare prima dei sistemi di trattamento, che non sono dei semplici essiccatori tradizionali, ma dispositivi medici che trasformano l'aria compressa in un farmaco, rispettando quanto previsto dalla Farmacopea. Anche in questo caso, la normativa prevede una ridondanza semplice del sistema di trattamento: solo due sistemi. Per l'aria chirurgica, invece, essendo meno critica, la normativa prevede una semplice ridondanza delle fonti per la produzione e un solo sistema di trattamento dell'aria. Anche i limiti di inquinanti tollerati sono meno restrittivi: essenziale è che l'aria sia secca e priva di tracce d'olio. Una normativa attualmente in revisione per essere sempre più puntuale”.

Quali differenze
Cosa ci può dire sul fronte delle responsabilità?
 “Una differenza della normativa attuale rispetto alla UNI EN 737-3 consiste nel fatto che il legislatore ha modificato la gestione del rischio legata all’impianto: la vecchia norma attribuiva la responsabilità dell'impianto unicamente al costruttore, mentre oggi è distribuita su più figure all’interno degli ospedali. Durante le prove di collaudo, è prevista la supervisione da parte del responsabile nell'ambito ospedaliero, che deve dare il relativo benestare. Una figura che è responsabile anche delle verifiche periodiche. Tutto ciò ha indotto le strutture a mettersi a norma e a prevedere piani di emergenza per prevenire morti possibili. Anche la manutenzione di tali impianti deve essere effettuata da persona certificata a ‘metter mano’ agli impianti medicali”.

Passiamo al capitolo vuoto...
“Così come per l’aria medicinale, anche il vuoto viene trattato nella norma UNI EN ISO 7396 sezione 1: oltre alla ridondanza delle fonti viene, ad esempio, indicato che questi dispositivi medici devono essere collegati alla linea elettrica di emergenza. Anche la composizione della centrale vuoto viene trattata: tipicamente, questa è composta da tre sorgenti (doppia ridondanza), un serbatoio e due filtri batterici in parallelo. Questi ultimi hanno la funzione di prevenire che materiale organico raggiunga le pompe, infetti le tubazioni e altro ancora. La sezione 2 si occupa, invece, dei sistemi di evacuazione del gas anestetico, che può essere realizzata sia con pompe del vuoto, sia con ventilatori”.

Massima sicurezza
E’ possibile certificare l'intera sala?
“Col sistema di autoproduzione si può commettere un errore tipico, considerando il compressore un dispositivo medico, mentre, in realtà, dispositivo medico è il solo sistema di trattamento aria: dispositivo che va certificato. Ma pochi sono i costruttori in grado di certificare l'intera sala. Aggiungendo ai macchinari un software per la gestione dell'intero impianto è, infatti, possibile estendere la certificazione di dispositivo medico all’intera sala, fornendo, così, una garanzia di massima sicurezza.  Una centralina dedicata, può  gestire i compressori e monitorare di continuo il loro stato; in caso di avaria, avviare la seconda o la terza fonte, così come nel caso la pressione della rete dovesse diminuire rispetto a quanto previsto. La pressione viene misurata sia a valle dei compressori, sia a valle del sistema di trattamento, in modo da rilevare anche un eventuale intasamento dei filtri. Diversi sono i tipi di allarme, che prevede la normativa: allarmi operativi, clinici e segnali informativi. Circa la qualità dell'aria, questa viene controllata tramite analisi di campioni prelevati durante le verifiche periodiche di legge, come accade al primo avviamento dell'impianto”.




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