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Direttiva PED: note interpretative
Tratto da "I Quaderni dell'Aria Compressa" - novembre/dicembre 2003

Botta e risposta a tutta pressione

 
Ingegner Massimo Rivalta


Si conclude con quest'ultimo contributo la serie di articoli riguardanti la normativa PED in merito agli apparecchi in pressione. Considerata l'importanza dell'argomento, si è voluto fornire un elemento in più di valutazione per il lettore riguardo la nuova normativa, coinvolgendo in maniera diretta chi ha il compito di vigilare e far rispettare la legge sotto un profilo tecnico. Da qui l'intervista che proponiamo ai nostri lettori.

Prendendo spunto da una chiacchierata, che potrei definire informale, con l'Ingegner Diego Rosati, dell'ispesl di Torino, e vista la consistenza degli argomenti trattati, ecco nascere la nuova idea di realizzare una memoria informativa veramente utile per chi approcci o direttamente interagisca con la PED.
Poiché la materia sollecitava interessanti suggerimenti di dialogo durante la conversazione, l'incontro, a poco a poco, si è trasformato in uno stuzzicante contesto di domande e risposte.
Risultando impossibile riportare completamente i contenuti del colloquio, per quantità di informazioni e approfondimenti, si è optato per un'impostazione della memoria un po' inusuale, ma sicuramente non priva di contenuti tecnici di particolare importanza, quali sono, appunto, quelli esposti nell'intervista.
La mia innata curiosità e la notevole preparazione dell'interlocutore hanno, così, permesso di realizzare un documento che definirei di considerevole interesse per gli addetti ai lavori.
Ho scoperto, in tal modo, un'altra faccia della PED. Cioè quei risvolti che spesso rimangono nascosti tra le righe di una normativa che comprende, oltre alla lungimiranza e competenza del legislatore, anche gli inevitabili "errori di gioventù" o, forse, paga pegno alla necessità di voltar pagina in maniera troppo repentina in un settore talmente tecnico e specifico qual è quello degli argomenti considerati nella PED.
Nasce pertanto questa intervista, un inconsueto districarsi tra vecchi articoli e nuove competenze raccontati con l'incedere narrativo di una novella per fanciulli, ma ricca di significati tecnici e riferimenti normativi.
Troverà, il lettore, leggendo queste righe, che non sempre la legge è ostica a chiunque non abbia competenze e titoli altisonanti, ma può essere fatta oggetto di osservazioni specifiche nel momento in cui chi le espone e le commenta riesce a dar prova di approfondita conoscenza e di abilità espositiva adeguate.

Quali difficoltà
Ingegnere, quali sono le effettive difficoltà incontrate, considerata la sua esperienza, nell'applicazione della Direttiva PED da parte degli addetti ai lavori?
Le difficoltà che si presentano sono di diverso ordine. In primo luogo, manca la capacità di prendere in considerazione tutto ciò che la Direttiva attualmente identifica come attrezzatura, ma che, precedentemente, non era considerato "apparecchio a pressione" dalla normativa nazionale.
Può illustrarci più chiaramente tale concetto?
E' difficile, per il fabbricante, rendersi conto che una tubazione, un accessorio a pressione o un accessorio di sicurezza possano oggi essere commercializzati solo dopo che per essi è stato predisposto un fascicolo tecnico, al pari di quanto si fa per un recipiente o per un corpo caldaia.

Il caso di tubi e valvole
Facciamo un esempio significativo per meglio entrare nel merito della questione: cosa cambia, effettivamente, nel caso specifico, per una tubazione?
Nel vecchio regime di omologazione nazionale, le tubazioni erano sostanzialmente escluse in blocco dalla sorveglianza dall'art.4 del RD 824 del 12 maggio 1927 (Ndr: si veda, in proposito, la tabella riportata in questo articolo). Oggi, il campo di esclusione è molto più limitato e, in generale, è passibile dell'obbligo di marcatura CE qualsiasi tubazione ubicata all'interno di una rete industriale di servizio (valutati, ovviamente, PS e DN).
Possono essere gestite in regime di "buona prassi costruttiva" tutte le tubazioni con DN inferiore a 25, quando il contenuto ricade nel gruppo I (fluido pericoloso) e tutte le tubazioni con DN inferiore a 32 quando il contenuto ricade nel gruppo II (fluidi non pericolosi). A valle di questa prima scrematura, sono possibili ulteriori distinguo: ad esempio, se il fluido è un liquido poco volatile alla temperatura di progetto TS (ovvero la sua tensione di vapore è inferiore a 1,5 bar assoluti), non occorrono, in realtà, particolari accorgimenti fino al DN 200. Al di fuori di valori di DN molto piccoli, superiori a 25 o 32 appunto, è comunque opportuno procedere alla valutazione caso per caso del prodotto che si intende realizzare, sulla base delle tabelle dell'allegato II al D.Lgs. 93/2000 (per le tubazioni, le tabelle sono quelle dalla 6 alla 9).

Quali sono i potenziali rischi cui si va incontro se da questa verifica risulta che la tubazione ricade in categoria di rischio?
Sarà comunque indispensabile applicare uno dei moduli di valutazione della conformità, formalizzando le procedure di progettazione e di fabbricazione e la descrizione del funzionamento dell'attrezzatura all'interno di un fascicolo tecnico. Il fabbricante potrà, tuttavia, procedere in autonomia se la categoria di rischio individuata è la I, applicando il modulo A, mentre dovrà richiedere l'intervento di un Organismo Notificato che presieda alla valutazione del fascicolo tecnico per le categorie superiori; sarà altresì necessario, in tal caso, incaricare lo stesso o un altro Organismo Notificato, oppure una Entità Terza Riconosciuta, affinché qualifichi i procedimenti di giunzione permanente impiegati e i relativi operatori. Dovrà, infine, essere predisposta la documentazione relativa all'attestazione verso terzi delle valutazioni eseguite (dichiarazione di conformità) e il manuale d'uso, installazione e manutenzione da fornire all'utilizzatore.

Poniamo il caso di un fabbricante particolarmente zelante. Potrebbe egli stesso provvedere a tutto questo anche se la tubazione che produce risulta trovarsi sulle tabelle al di sotto della I categoria?
La procedura sopra esemplificata si applica per attrezzature a pressione che devono essere marcate CE per poter essere commercializzate, cioè che ricadono in una delle categorie di rischio. In questo ambito, è consentita al fabbricante la massima libertà nella scelta del modulo di valutazione di conformità: nulla vieta di applicare un modulo per attrezzature di IV categoria a un'attrezzatura che risulta essere di I. Viceversa, non si deve assolutamente cercare di pervenire alla marcatura CE di una attrezzatura che non ricade in nessuna delle categorie di rischio e che, pertanto, può essere immessa sul mercato senza che ne sia dichiarata la conformità alla Direttiva.

Quanto detto a proposito delle tubazioni si può ripetere identicamente anche per un accessorio a pressione, ad esempio per una valvola di intercettazione?
Si. Anche qui la valutazione deve essere fatta caso per caso. Una valvola di intercettazione non risponde necessariamente all'obbligo previsto dalla Direttiva di applicazione di una delle procedure di valutazione della conformità, e il fabbricante può, in tal caso, limitarsi all'applicazione dei codici di buona tecnica in uso. E' importante, però, prendere in considerazione la possibilità che la valvola si trovi almeno nella prima categoria di rischio. Se, ad esempio, vogliamo valutare una valvola su tubazione per Gpl (gas pericoloso con PS 17,65 bar), vedremo che una valvola da 1 pollice ricade in I categoria di rischio e una analoga valvola da 2 pollici è già in II categoria. Una valvola dello stesso diametro, impiegata però su una tubazione contenente gas non pericoloso, come l'aria, alla stessa pressione di progetto o a valori superiori, sarà invece in I categoria.

Analisi dei rischi
Superata questa fase di presa di coscienza del problema, quali altre difficoltà incontra in generale il fabbricante?
Le difficoltà per il fabbricante spesso riguardano, a questo punto, l'individuazione di supporti validi per lo sviluppo dell'analisi dei rischi prevista dalla Direttiva. E' da considerare, a tal proposito, che, per molti prodotti, non sono ancora disponibili, a livello europeo, le norme armonizzate di progettazione, fabbricazione ed esercizio che dovrebbero costituire riferimento certo in questo senso. E' opportuno, pertanto, mantenersi continuamente aggiornati sulla situazione, in quanto è frequente il caso di un progetto di norma che subisce l'avvallo e diventa EN utilizzabile.
Altro problema è rappresentato dallo scambio delle informazioni tra fabbricante e utilizzatore circa le condizioni di esercizio dell'attrezzatura, spesso troppo stringato. Il risultato che ne segue può essere la mancata identificazione di alcuni pericoli, oppure una scarsa attivazione di misure preventive nei confronti del rischio, con manuali di istruzioni che, di fatto, demandano all'utilizzatore molte valutazioni che dovrebbero essere già risolte a livello di fascicolo tecnico.

Proprio a questo proposito, infatti, la PED introduce il concetto di insieme.
L'insieme è, in effetti, un'entità che dovrebbe essere applicata ogni volta che un fabbricante è chiamato a fornire un impianto, o una sezione di questo, come tutto integrato e funzionale.
L'obiettivo dell'insieme è quello di innalzare l'orizzonte dell'analisi di rischio al di sopra dei confini della singola attrezzatura, consentendo una valutazione integrata delle interazioni tra i diversi componenti assemblati nell'impianto. Il modulo di valutazione di conformità per l'insieme garantisce che ciascuna delle attrezzature all'interno di esso è stata oggetto di valutazione di conformità e che anche i rischi derivanti dall'assiemaggio sono stati valutati a cura del fabbricante.

Molto spesso, però, si verifica il caso in cui il fabbricante non fornisce il modulo di insieme, oppure l'impianto è oggetto di fornitura ripartita tra differenti fabbricanti. Come si deve agire in questi casi?
Allora il discorso si sposta dal fronte delle difficoltà per i fabbricanti a quello dei problemi per gli utilizzatori. La PED individua come alternativa all'insieme il cosiddetto "assemblaggio sotto responsabilità dell'utilizzatore". Questo concetto corrisponde a una configurazione realizzata all'atto dell'esercizio a partire da attrezzature che singolarmente sono già state oggetto di commercializzazione (e quindi, se del caso, di marcatura CE). Rispetto a questo assemblaggio, la PED, in quanto norma di costruzione e non di esercizio, non si esprime, demandando la valutazione dell'operato dell'utilizzatore alle singole legislazioni nazionali. Ricordiamo, a questo punto, che per l'Italia la suddetta legislazione è in fase di revisione e che un decreto sarà presto emanato a riordino del settore. E' certo, comunque, che l'utilizzatore sarà chiamato a rispondere, in maggiore o minore misura, e probabilmente di fronte a soggetti verificatori privati, dei potenziali rischi introdotti dall'accoppiamento dei diversi componenti, fornendo evidenza documentale dei risultati delle valutazioni eseguite. Anche le operazioni di controllo della messa in servizio saranno conseguentemente più onerose per gli assemblaggi sotto responsabilità dell'utilizzatore: si consideri anche l'aspetto meramente burocratico, che prevede che l'utilizzatore inoltri presso i soggetti pubblici Ispesl e Asl una dichiarazione di messa in servizio per ogni singola attrezzatura, a fronte dell'unica dichiarazione prevista nel caso dell'insieme.

Abbiamo precedentemente considerato l'esempio delle tubazioni. Lo stesso concetto viene applicato anche per un tratto di tubazione?
Il decreto porrà opportuni limiti inferiori al di sotto dei quali non sarà necessario provvedere alla dichiarazione di messa in servizio e alle successive verifiche, che non avrebbero significatività alcuna: si pensi al caso degli estintori d'incendio portatili. In questo contesto, le tubazioni isolate saranno oggetto di "condono" almeno per quanto riguarda i diametri più piccoli. Molte altre tipologie di esclusione potrebbero venire recuperate dalla vecchia norma sull'esercizio, non per forza con gli stessi limiti di applicazione. Sottolineiamo che tali esclusioni non svincolano l'attrezzatura dagli obblighi della Direttiva, ai fini della marcatura CE, che coinvolgeranno comunque la precedente fase di costruzione.

Si può affermare, quindi, che, in termini pratici, il modulo di insieme minimizza il rischio residuo a carico dell'utilizzatore?
E' senz'altro così. I problemi dell'assiemaggio possono essere molteplici e non trascurabili: si pensi al caso di un impianto per fluido caldo in cui la commessa dei recipienti viene affidata a un fabbricante e la commessa delle tubazioni che li collegano l'uno all'altro a un secondo fabbricante. Atteso che sia i recipienti sia le tubazioni saranno senza dubbio forniti all'utilizzatore completi di dichiarazione di conformità CE per la categoria di pertinenza, qual è il soggetto in grado di valutare compiutamente i rischi introdotti dalle sollecitazioni alle connessioni indotte dalla dilatazione termica delle linee, nei tratti rigidi? Se la comunicazione tra i fornitori non è correttamente gestita, è verosimile che l'utilizzatore venga identificato quale titolare di queste valutazioni, in quanto la progettazione complessiva dell'impianto è formalmente a suo carico. Il rischio residuo a questo punto è perlomeno da prendere in esame, senza contare il fatto che una valutazione "a posteriori" può condurre a dispendiosi interventi correttivi su attrezzature a questo punto già fabbricate.

Il tema delle "riparazioni"
Finora abbiamo parlato del nuovo trascurando il problema dell'esistente. I vecchi apparecchi Ispesl già in esercizio diventano delle potenziali "mine vaganti", nel senso che, quando fosse necessario riportarli in officina per porre rimedio a un problema su una parte in pressione, il regime PED creerebbe insormontabili difficoltà formali?
No, esiste una circolare Ispesl che si pronuncia sulla riparazione o modifica degli apparecchi a pressione corredati del vecchio libretto matricolare. Tali operazioni vengono realizzate secondo la norma in vigore all'atto della costruzione, per cui l'Ispesl rimane la struttura di riferimento per l'approvazione degli interventi e per le verifiche sull'apparecchio al termine delle operazioni di "restauro". E' implicito che, nel caso di modifiche, l'entità delle stesse non potrà trasformare l'apparecchio d'origine in un qualcosa di totalmente diverso, assimilabile a una nuova attrezzatura, perché in tal caso è previsto che la norma di riferimento sia la Direttiva PED.

E sul futuro delle attrezzature PED che oggi subiscono il "varo" che cosa ci si deve aspettare?
Dal punto di vista del fabbricante, riparazioni e modifiche su attrezzature costruite in regime di PED dovranno, del pari, essere gestite secondo la Direttiva. Per quanto riguarda l'utilizzatore, le verifiche di messa in servizio costituiranno una parte del contenuto del Decreto di armonizzazione della norma sull'esercizio; l'altro importante aspetto che il testo normativo dovrà regolamentare sarà la periodicità delle verifiche di riqualificazione durante l'esercizio.

Potrebbe fornire ai nostri lettori qualche anticipazione in merito?
Le categorie di attrezzature più "fortunate" saranno i recipienti e le tubazioni per liquidi, per i quali potrebbe non essere prevista alcuna verifica. Anche per le verifiche periodiche ci si dovrà, invece, rassegnare a gestire le tubazioni a più elevata categoria di rischio alla stregua dei recipienti, con obbligo di impiego a intervalli predefiniti di metodologie di controllo non distruttivo. Per i recipienti, l'innovazione sarà costituita da una gestione differenziata degli intervalli tra due successive riqualificazioni in base alla categoria di rischio del prodotto.

 
Tubazioni: quali le esclusioni contemplate
IERI
(art.4 RD 824 del 12/5/1927)
OGGI
(art.1 c. 3 D.Lgs. 93/2000)
Tubazioni di condotta di vapori o gas Tubazioni o sistemi di tubazioni per il trasporto di qualsiasi fluido o sostanza da o verso un impianto, in mare aperto o sulla terra ferma, a partire dall'ultimo organo di isolamento situato nel perimetro dell'impianto
  Tubazioni facenti parti di reti per la raccolta, la distribuzione e il deflusso di acqua, nonché canalizzazioni per acqua motrice come condotte forzate, gallerie e pozzi in pressione per impianti idroelettrici
Serpentini ad afflusso libero nell'atmosfera o in liquidi  
Tubi con o senza nervature, gruppi di tubi, di elementi o stufe che servono per riscaldamento Tubazioni facenti parte degli impianti di riscaldamento ad acqua calda



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